27 appassionati, 27 uomini

manliomaggio

Manlio Maggio

  

Socio del Club dal 2021

Predecessori:
  • Mario Gandolfi 1998 - 2021
   

I due Foscari

Librettista: Francesco Maria Piave
Prima rappresentazione: Roma, Teatro Argentina, 3 Novembre 1844

   

L’OPERA

Raccontata dal socio

Atto I
È il 1457. Nella Sala nel Palazzo Ducale di Venezia il Consiglio dei Dieci e i membri della Giunta stanno per riunirsi per una decisione importante. Giungono Loredano, membro del Consiglio, e il suo amico Barbarigo. I due apprendono che il Doge, apparentemente calmo e sereno, li ha preceduti nella Camera del Consiglio: prima di entrarvi, tutti i presenti cantano le lodi della giustizia veneziana. Condotto fuori dal carcere, Jacopo Foscari, figlio del Doge, attende di essere convocato dal Consiglio: egli saluta la sua amata Venezia, che non vede da tempo a causa dell’esilio che lo ha bandito dalla città. Un ufficiale lo esorta ad aver fiducia in un atto di clemenza, ma Jacopo inveisce contro l’atroce odio di cui è vittima. Lucrezia Contarini, moglie di Jacopo, promuove la causa del marito davanti al Doge, nonché padre di lui; ma, risponde il Doge, essa può sperare e chiedere giustizia solo al cielo. All’annuncio di Pisana, amica di Lucrezia, che Jacopo è stato condannato ad un nuovo esilio, Lucrezia dà sfogo al suo furore. I senatori commentano, uscendo dall’aula, la sentenza appena pronunciata: Jacopo non ha confessato, ma la lettera che ha inviato al duca Sforza di Milano è la prova della sua colpevolezza; è quindi giusto che torni nuovamente in esilio a Creta: a tutti deve essere chiara l’imparzialità della giustizia veneziana, che condanna anche un figlio del Doge. Solo, il Doge riflette amaramente sul suo destino sia di principe, il cui potere è ormai dimezzato da quello dei Dieci, sia di padre, che vede languire il figlio senza poterlo salvare. Entra Lucrezia e supplica il suocero di far annullare la sentenza che colpisce Jacopo; ma il Doge risponde che le leggi di Venezia glielo impedisce. Vedendo il vecchio in lacrime per il destino del figlio, Lucrezia comincia a sperare.
Atto II
Languendo in un’oscura cella, Jacopo vede in un momento di delirio il fantasma del Carmagnola, il famoso condottiero giustiziato a Venezia, che avanza minacciosamente verso di lui con il capo reciso. Spaventato, sviene. Riavutosi, si ritrova tra le braccia di Lucrezia, da lui giunta per comunicargli la sentenza dei Dieci: non si tratta di una condanna a morte, bensì dell’esilio, che li costringerà a vivere per sempre separati. Ma da lontano odono il suono di una barcarola che infonde loro una nuova speranza. Sopraggiunge il Doge e i tre si abbracciano con commozione: è l’affetto paterno e non il rigore dell’autorità che Jacopo ora riconosce in lui e ciò gli sarà di conforto nell’esilio. Scortato dalle guardie, entra nella cella Loredano e comunica freddamente a Jacopo che il Consiglio si è già riunito: per lui è giunta l’ora di partire definitivamente alla volta di Creta. I tre si abbracciano ancora, ma Loredano li divide senza pietà suscitando l’ira di Jacopo e Lucrezia: il Doge li esorta alla calma. Jacopo viene quindi condotto via dalle guardie. I consiglieri e la Giunta si sono riuniti per confermare la sentenza. Entra il Doge per presiedere il Consiglio. Viene quindi introdotto Jacopo, che chiede al padre giustizia per un innocente, ma questi non può far altro che consigliargli la rassegnazione. Con Pisana e altre dame sue amiche sopraggiunge anche Lucrezia, tenendo per mano i suoi due bambini. Jacopo corre ad abbracciarli e li fa inginocchiare ai piedi del Doge, invocando la sua pietà. Barbarigo si commuove a questa scena e cerca di ammorbidire l’implacabile Loredano. Ma questi e i senatori si mostrano irremovibili: che Jacopo torni a Creta e parta da solo, senza la famiglia. A questa prospettiva Jacopo sente che la morte è ormai vicina.
Atto III
La Piazzetta di San Marco si riempie di popolo e di maschere: sta per svolgersi una regata. Giungono Loredano e Barbarigo che osservano la gioia del popolo, totalmente incurante della sorte dei Foscari e del Doge. Loredano dà quindi l’ordine che si inizi la gara. Ma a un improvviso squillo di trombe il popolo, impaurito, si ritira: sta giungendo dal mare una galera destinata a ricondurre a Creta Jacopo. Prima di imbarcarsi saluta mestamente Lucrezia e i suoi bambini ed esorta la moglie a non piangere per non far gioire i suoi nemici. Ma Loredano si interpone nuovamente fra loro e gli impone di affrettarsi. Al salire di Jacopo sulla galera Lucrezia sviene. Nelle sue Stanze private il Doge si lamenta del suo tragico destino: tre suoi figli sono morti prematuramente e il quarto gli è stato sottratto da un infame esilio. Ma entra improvvisamente Barbarigo recando una lettera scritta da un certo Erizzo, in cui questi confessa di aver commesso il delitto imputato a Jacopo. Il Doge ringrazia il cielo. La gioia però dura poco: sopraggiunge Lucrezia in lacrime ad annunciargli la morte di Jacopo, deceduto nel momento stesso della sua partenza; essa esce di scena, invocando sui suoi persecutori l’ira del cielo. Vengono quindi introdotti davanti al Doge i membri del Consiglio condotti da Loredano: data l’età e il recente lutto, sono venuti a chiedere al vecchio Foscari di rinunciare alla sua carica. Per il Doge è il colpo finale: per due volte in passato aveva domandato di abdicare e per due volte gli era stato negato; avendo giurato di morire nell’esercizio delle sue funzioni, egli ora resterà fedele al suo giuramento. Ma il Consiglio è inflessibile: il vecchio Foscari consegna quindi l’anello e il corno ducale. Giunge Lucrezia, da lui chiamata, e mentre conduce il vecchio fuori del palazzo, si ode il suono delle campane di San Marco: Loredano si avvicina a Foscari e gli annuncia che Malipiero è il nuovo Doge. Alla notizia il vecchio muore.