Librettista: Francesco Maria Piave (con aggiunte e modifiche di Arrigo Boito nella seconda versione riveduta del 1881)
Prima rappresentazione: Venezia,Teatro La Fenice, 12 Marzo 1857
Prologo.
Genova verso la metà del XIV secolo. L’elezione del nuovo doge contrappone patrizi e plebei. L’ambizioso Paolo Albiani procura l’appoggio popolare a Simon Boccanegra, valoroso corsaro al servizio della Repubblica, legato da un contrastato amore a Maria, figlia del nobile Jacopo Fiesco, che gli ha dato una figlia affidata a una nutrice in terre lontane, ma poi misteriosamente sparita. In un drammatico colloquio fra Boccanegra e Fiesco il corsaro è costretto a rivelare al padre dell’amata la sorte della bambina, scatenando in Jacopo un odio ancor più implacabile. Boccanegra penetra nel palazzo di Fiesco per rivedere Maria: ma la giovane è morta proprio in quelle ore, mentre nelle strade di Genova voci eccitate annunciano l’elezione a doge di Simone.
Atto primo.
Venticinque anni dopo, la fanciulla conosciuta come Amelia Grimaldi, attende il suo innamorato Gabriele Adorno, uno dei nobili che complottano per rovesciare il governo di Simone. La ragazza è in realtà la figlia di Simone, ma sa soltanto di essere un’orfanella che ha preso il posto della vera Amelia Grimaldi, morta nel convento dove entrambe erano ospitate. Il suo tutore è il vecchio Andrea (in realtà Jacopo Fiesco, principale motore del complotto ma ignaro della vera identità della fanciulla). Un dialogo fra Simone e Amelia permette ai due di scoprire con profondo turbamento e gioia la verità. Riconosciutisi come padre e figlia, Simone concede ad Amelia di sottrarsi alle progettate nozze con l’ambizioso Paolo Albiani e di seguire il proprio cuore. Paolo progetta allora di rapire la fanciulla. Nella scena successiva, nella Sala del Consiglio, Simone scongiura i concittadini di evitare la guerra fratricida con Venezia richiamandosi all’appello inviatogli in questo senso da Francesco Petrarca. Giunge la notizia che Amelia è stata rapita e scoppia un tumulto fra le due fazioni; ma la fanciulla è riuscita a liberarsi e si presenta al Consiglio. Simone, intuendo che dietro il ratto c’è Paolo Albiani, pacifica gli animi e induce Paolo a maledire l’autore di questi delitti, cioè se stesso.
Atto secondo.
Nella stanza del doge, Paolo versa del veleno a effetto lento nell’anfora da cui il Boccanegra è solito bere, quindi, fatti venire segretamente Fiesco e Gabriele (momentaneamente imprigionati a seguito del tumulto), tenta di coinvolgerli nell’assassinio a tradimento di Simone, cosa che i due sdegnosamente respingono. Gabriele, equivocando sull’affetto fra Amelia e Simone, è roso dalla gelosia e tenta di pugnalare Simone (che ha già bevuto il veleno), finché non gli viene rivelata la verità nonché la magnanimità e la clemenza di Simone, che per assicurare la pace di Genova è nuovamente disposto a perdonare chi ha complottato contro di lui. I Guelfi si apprestano ad assaltare il palazzo dogale e Gabriele, che ha deciso di schierarsi con Simone, esce per affrontarli.
Atto terzo.
La minaccia guelfa è sedata e Paolo che aveva preso parte al tumulto è condotto al patibolo, rivelando a Fiesco di aver avvelenato Simone. Fiesco, liberato, si avvicina a Simone con propositi di vendetta svelandogli la sua vera identità. Ma il Doge, morente, gli rivela che Amelia Grimaldi è in realta la sua nipote Maria. Fiesco commosso comprende l’inutilità del suo lungo odio e cede all’abbraccio di Simone. Allo stremo delle forze Boccanegra approva le nozze fra Amelia e Gabriele e muore abbracciando la figlia ed indicando in Gabriele Adorno il suo successore.